“Media e arte” di Simonetta Fadda
Tra i media e la condizione umana c’è un rapporto fondamentale e originario, che definisce l’umanità stessa: i media non agiscono dall’esterno, non rispecchiano il nostro mondo, ma sono il nostro mondo. In pratica, non sono moduli autosufficienti, facilmente delimitabili e mappabili all’interno di uno scenario statico, ma formano un ecosistema complesso che è necessario analizzare partendo dalle ibridazioni tra media diversi, nel corso del tempo. Ricostruire a grandi linee la storia della nostra evoluzione mediale permette di decifrare in prospettiva i nessi che governano la nostra esperienza oggi, dopo il digitale. In sintesi, è questo il compito che si prefigge il volume Media e arte. Dalle caverne dipinte agli ologrammi cantanti, un saggio divulgativo che inquadra le nostre attuali consuetudini medial-tecnologiche, alla luce degli spunti offerti da taluni approcci artistici contemporanei.
Media come parola, arti plastiche, musica, danza, si sono sviluppati parallelamente alla storia umana e si sono evoluti grazie alle trasformazioni subite dalle loro tecnologie di riferimento. In seguito, nell’ambito dell’industrializzazione iniziata nell’Ottocento e che contraddistingue tuttora il nostro mondo, sono nati nuovi media come fotografia, telefonia, riproduzione sonora, radio, cinema, televisione, video, videogioco, Internet. I media industriali rappresentano una particolare evoluzione dei media precedenti poiché si rivelano capaci di modificare profondamente il rapporto tra percezione, estetica e soggettivazione interindividuale, secondo forme ancora parzialmente inesplorate.
Media e arte offre un’analisi di tali trasformazioni che investono contemporaneamente l’ambito sociale, psicologico e politico. Il volume esamina criticamente il rapporto tra media e tecnologie, per illuminare gli spazi di reciproca autonomia tra la razionalità estetica dei media e la razionalità economica delle tecnologie. Comprendere quale sia la sfera d’influenza dell’azione mediale e, viceversa, quali siano gli ambiti tecnologici veri e propri, oggi assume un ruolo strategico proprio per identificare gli spazi evolutivi di libertà che si possono dischiudere nelle pratiche medial-tecnologiche contemporanee, individuando i diversi livelli sui quali si avvolge la nostra esperienza di vita.
La risorsa cui attinge il saggio per inquadrare il ruolo dei media, in modo da offrire nuove chiavi per affrontare in modo positivo le sfide degli scenari contemporanei, è rappresentata dall’arte. I risultati messi in campo dagli artisti sono in grado di creare potenti antidoti estetici, capaci di sollecitare l’approccio autonomo e consapevole dei singoli nei confronti dei diversi linguaggi mediali. Inoltre, le soluzioni adottate dagli artisti spesso riescono a innescare cambiamenti che s’insinuano nel sociale, dirottando gli sviluppi tecnologici. Grazie alla riflessione sulla portata estetica dei media nel corso del tempo, le recenti trasformazioni introdotte dall’adozione del digitale come unica tecnologia di riferimento nell’ambito dei media sono analizzate con un’attenzione critica rispetto ai loro possibili sviluppi attuali e futuri, per comprenderne i significati antropologici. Quella digitale è una rivoluzione non perché sotto molti punti di vista il digitale facilita l’esperienza delle persone introducendo nuove comodità, ma perché la tecnologia numerica sta trasformando dall’interno le stesse forme della soggettività, che passano attraverso le intime relazioni interpersonali, l’empatia, la razionalità, la memoria. Il digitale non è solo una tecnologia, ma una forma di vita.
Per esempio, la matrice industriale dei media nati nell’Ottocento porta in primo piano il plesso costituito da media, tecnologie e oggetti tecnologici, aprendo a una progressiva colonizzazione
dell’immaginario visivo e uditivo degli utenti dei media. Le tecnologie che sostanziano media come fotografia o cinematografo traducono a livello della macchina gli ideali di controllo e catalogazione, tipici della razionalità industriale capitalista, condizionando dall’interno la portata estetica di tali media. In particolare, questo condizionamento tecnologico si esprime per esempio nella fotogenia dell’immagine cine-fotografica, che ricompone persone e cose secondo un nuovo ordine visivo dal fascino profondo, ma di tipo tassonomico; oppure nel voyeurismo come forma feticistica della pulsione scopica di cui parla Lacan, che trova nella precisione dell’immagine prodotta dalla macchina (foto e cinematografica) una stupefacente realizzazione. La nascita del cinematografo al culmine della Belle Époque e agli albori della società e del mercato di massa non è casuale, perché la costruzione di un dispositivo per registrare e vedere il movimento atomizzato di uomini e cose s’integra perfettamente nei processi industriali di automazione del lavoro, che di lì a poco portano anche all’invenzione della catena di montaggio da parte di Henry Ford (1913). Il cinema rappresenta lo specchio rovesciato del mondo industriale e proprio per questo funziona come «vaccinazione psichica contro la psicosi di massa» (per dirla con le parole di Benjamin), permettendo di sfogare eventuali derive nevrotiche nel voyeurismo collettivo e autorizzato all’interno della sala.
In seguito, nei media elettronici e informatici novecenteschi come televisione e Internet, la sorveglianza che impronta il modello della gestione della cosa pubblica (stato ed economia), diventa un principio tecnologico esplicito. La sua centralità emerge nel funzionamento di tali media come flussi d’informazione in tempo reale e senza soluzione di continuità, capaci di appropriarsi del tempo di vita dei fruitori per adattarlo al proprio eterno presente. Qualcosa cui i fruitori, peraltro, si adeguano con entusiasmo, come dimostra per esempio la presenza del televisore sempre acceso nelle case dagli anni Sessanta in poi, oppure la straordinaria diffusione dello smartphone (in uso dal 2007), diventato subito una specie di protesi portata sempre con sé e sempre connessa, considerata indispensabile per accedere alla propria socialità. In questo caso particolare, è il rapporto osservatore/osservato messo in scena nelle installazioni video a circuito chiuso inaugurate dagli artisti durante gli anni Settanta, che ora si propaga al vissuto quotidiano di ciascuno, proprio grazie alla portabilità dello schermo/specchio personale rappresentato dallo smartphone.
A livello simbolico, i media meccanici, elettrici ed elettronici che si sono diffusi soprattutto nell’ambito dell’intrattenimento, intervengono proprio come fattori capaci di favorire l’integrazione tra i corpi e i meccanismi attraverso l’estetizzazione delle esperienze dissonanti, violente e apparentemente inconciliabili, indotte dalle forme di vita nate con l’industrializzazione. L’arte si colloca in questo spazio inaugurato dall’intrattenimento, ma si spinge più in là perché se da un lato assolve un ruolo fondamentale di armonizzazione nei confronti del mondo che cambia, dall’altro ne mette contemporaneamente in luce le potenziali derive negative, mostrando possibili usi e comportamenti alternativi. Inoltre, l’arte funziona da apripista perché permette di prendere coscienza di aspettative e desideri condivisi, ma non ancora presi in carico dalla società, riuscendo a stimolare altresì l’evoluzione tecnologica.
In conclusione, Media e arte è uno studio di tipo divulgativo che affronta in maniera unitaria le problematiche sociali ed estetiche con cui dobbiamo comunque fare i conti nella nostra quotidiana esposizione individuale e collettiva a media e tecnologie e lo fa attraverso inediti collegamenti tra arte e società, che puntano l’attenzione sulle pratiche artistiche intermediali e sulle questioni affrontate e risolte dagli artisti.