Media Key intervista: Irene Bruni, Account Manager, Strategist, Partner di Quiqueg
Come vi siete organizzati per portare avanti il vostro lavoro in questa emergenza sanitaria?
Con una bella parola: libertà. Ognuno di noi ha scelto di lavorare da casa, o di continuare ad andare nello Spazio fuori Luogo (il coworking per creativi che gestiamo a Porta Genova), se preferiva, DPCM permettendo.
È una fortuna fare un mestiere per cui bastano un computer e una buona connessione internet. Certo, è mancata l’immediatezza dell’essere fianco a fianco, e in smart working anche la spontaneità delle interazioni va in qualche modo pianificata.
Lavorare a distanza, però, ha avuto davvero un risvolto “smart”: la netta distinzione tra i momenti “connessi” con il resto del team, indispensabili per lo scambio di idee, e i momenti di concentrazione individuale, con il lusso di poter annullare gli stimoli esterni, esplorare e approfondire in solitaria.
E dopo tutto lavorare creativamente, sia in senso stretto per un’agenzia creativa come Quiqueg, sia in un più ampio senso strategico per qualsiasi business, è proprio questo: darsi modo di combinare le proprie energie con quelle degli altri, sfruttando poi l’effetto moltiplicatore della squadra.
Per il prossimo futuro, confermiamo questa libertà di scelta: libertà di lavorare ovunque noi decideremo di essere, giorno per giorno, casa o studio, consapevoli che stiamo prendendo il meglio di entrambe le condizioni. Perché non serve essere vicini per sentirsi e lavorare come un gruppo.
Quali idee e nuove opportunità di comunicazione state studiando per i vostri clienti?
Lo abbiamo sempre fatto, ma ora è ancora più importante partire dalle caratteristiche dei clienti e scegliere messaggi e mezzi adatti, senza soluzioni preconfezionate e replicate in serie.
Ci capita di ricevere richieste molto specifiche (“mi serve un video/una brochure/una campagna social”), che poi trasformiamo in prodotti diversi, non standard, e per questo più precisi e memorabili. Ad esempio, negli ultimi sei mesi abbiamo parlato di sostenibilità aziendale con un libro illustrato (per Menz&Gasser), trasformato una mostra fotografica in un progetto no profit per i bambini (la QuarARTEna) e realizzato campagne non “tradizionali”, con diversi progetti di comunicazione interna per HEINEKEN Italia.
E questo con un approccio trasversale a tutti gli ambiti, senza distinzioni tra ATL, BTL, eventi, no profit: “cura e fantasia” sono il nostro motto, ci permettono di rimanere vicini alle esigenze dei clienti ma ampliando il campo di gioco, senza preconcetti.
Quindi, più che farci studiare nuove idee, la crisi ci ha ricordato che è più bello e funzionale attingere stimoli da ambiti diversi per ricavarne progetti semplici, che funzionano perché sono fuori dalle rotte segnate.
L’emergenza attuale ha spinto le aziende a un cambiamento nelle strategie media e a rimodulare i budget in pubblicità?
Sicuramente la battuta d’arresto di alcuni settori ha portato molte aziende a tagliare quanto non considerato indispensabile al business e spesso si è trattato della comunicazione.
La valutazione è da fare caso per caso, ma, guardando al lato positivo, credo che la forzata riflessione possa anche aver contribuito a scardinare qualche meccanismo inerziale e a rivalutare iniziative fino ad oggi lasciate a margine delle strategie media di molti.
Penso ad esempio al branded content e al branded entertainment: sponsorizzare l’intrattenimento (su canali tradizionali o piattaforme nuove) o iniziative di utilità sociale (associazioni, cultura) credo che sarà sempre più la chiave per costruire una vera relazione con i clienti, fino quasi a invertire i pesi con la pubblicità tradizionale.
In questo ambito ci sono enormi opportunità da cogliere per media, agenzie creative e clienti lungimiranti che si lascino condurre fuori dalle strade segnate.
Certamente quando questa emergenza sarà passata le abitudini e gli stili di vita cambieranno. Quale sarà la vostra proposta per valorizzare la comunicazione delle aziende/clienti per essere sempre più vicini alle esigenze del consumatore?
Tre parole: sincerità, integrazione, empowerment.
Sincerità, perché già prima dell’emergenza si parlava di etica nella comunicazione dei brand: mettere – o rimettere – al centro i valori, le persone, la trasparenza e la sostenibilità. Come per la digitalizzazione, la crisi ha accelerato anche il passaggio verso una comunicazione autentica.
Integrazione perché “phygital” era già una parola calda nel 2019, ma durante il lockdown abbiamo sperimentato che “portare tutto online” non funziona, perché le emozioni e l’unicità di alcune esperienze (culturali, ma anche di marca) non sono veramente replicabili. D’altro canto, l’accelerata digitale ha abbattuto ulteriori barriere fisiche e demografiche, quindi la comunicazione integrata on e offline è sempre più un must per qualsiasi tipo di prodotto, continuando a mantenerla in linea con il posizionamento e l’obiettivo di comunicazione del cliente (un evento fisico oggi non può non avere uno streaming se vuole davvero essere aperto a tutti, ma non c’è nulla di più esclusivo ormai di un prodotto “solo offline”).
Empowerment, perché mai come nelle settimane di reale crisi le aziende si sono concentrate sulla comunicazione interna, capendo probabilmente che i propri dipendenti sono davvero i loro primi ambasciatori. E perché, con l’esplosione delle dirette come strumento di comunicazione non mediata, siamo diventati tutti testimonial, in un branding personale e aziendale.
Il motto di tutto il Paese è #prontiaripartire più forti di prima. Qual è il vostro suggerimento per far ripartire l’Italia e rilanciare la comunicazione?
Ci piacerebbe che la ripresa fosse più solidale: si vince solo se vinciamo tutti.
E questo vuol dire tante cose: partnership di valore per dare voce alle iniziative belle e buone; favorire il network e una buona collaborazione, in cui la squadra comprende cliente, mezzo, agenzie, produzione, consumatore.