“TRENT’ANNI DI EVENTI. Least but not last” il nuovo libro di Saverio Monno
I libri si sa, possono essere scritti in tanti modi e contenere storie e racconti di vita o temi affrontati con originalità partendo dal punto di vista del suo autore. Poi, possono essere prodotti editoriali che in forma di libro costruiscono uno storytelling visivo, ricco di suggestioni e impressioni concrete e quando la narrazione coltiva il sogno di raccontare una vita, un impegno civile e professionale senza lasciare margini a dubbi e incertezze.
Quando l’autore vuole raccontare e raccontarsi e rimettere insieme il puzzle della propria attività professionale, ma anche del proprio impegno , piuttosto che descrivere si può appunto ‘mostrare’ ciò che si è fatto attraverso immagini, testimonianze, documenti, brevi schede, montate come in un docufilm.
L’ultimo lavoro di Saverio Monno “TRENT’ANNI DI EVENTI. Least but not last” (per i tipi di Edizioni dal Sud, Bari 2021) è davvero una raccolta, una antologia omnicomprensiva della sua attività come manager e organizzatore culturale, probabilmente fra i primi in Italia capace di coniugare il suo essere sociologo alla competenza creativa con affinate capacità organizzative e operative .
Il triennio anni 90/2020 sono i limiti temporali che l’autore si è dato per aprire il proprio archivio di progetti, idee, conquiste e utopie concrete e di sistemarlo in maniera cronologica con esperienze multitasking: in qualità di direttore generale della Società Umanitaria e successivamente de La Triennale di Milano, e contemporaneamente docente universitario all’Accademia di Brera e nelle Università Cattolica e IULM di Milano, organizzatore di eventi per aziende e istituzioni pubbliche e private in Italia e all’estero, conferenziere colto e preparato sui temi della produzione e dei consumi culturali.
Il libro di circa 300 pagine sembra essere una opera fuori dal coro dei soliti testi , una sorta di opera d’arte non a sé dedicata ma, viceversa, più semplicemente come una grande opera di comunicazione ‘del fare cultura’, quando la comunicazione diventa strumento di divulgazione e di conoscenza di attività opere, e intraprese che sono state oggetto di una vita culturale e professionale, momento alto di produzione e di organizzazione appunto di reti, persone e istituzioni che hanno avuto ed hanno rilievo nei contesti in cui sono avvenute e non solo.
Per chi, come me conosce Monno, sa che l’interesse per l ‘arte della comunicazione sia stata ed è al centro della sua ricerca, in coerenza con la sua formazione sociologica ma anche e soprattutto una pratica costante che ha avuto nell’autore un traduttore chiaro non solo del ’si può fare’ ma soprattutto di ‘come si fa’ e ovviamente di ‘saper comunicare’.
Non parlare in modo ossessivo e a volte ripetitivo come spesso è in uso a tanti sulle cose che accadano: dalla scena urbana, all’arte, dall’architettura al design e al visual, Monno diviene un utile traduttore di cultura: azioni, progetti, iniziative, dibattiti, e altro, tutto ciò che permette non a se stessi ma agli altri di essere autori e produttori culturali, sotto la sapiente mano di chi sa condurre e sa organizzare.
Una attività militante, cioè di chi giorno dopo giorno costruisce sì un percorso professionale, ma soprattutto dedica una vita a mettere insieme relazioni, progettualità condivise, a formare i giovani, a dare uno scossone alle pastoie burocratiche, che diventano e toccano, nel suo lungo percorso, momenti alti di qualità progettuale e di grande coinvolgimento.
Fra questi, il rapporto con Media Key, importante gruppo editoriale del campo della comunicazione internazionale, diviene un ulteriore contributo alla costruzione della narrazione visiva.
Dieci anni intensi dal 2010 al 2020 dove si sono susseguite iniziative in cui è stato esaminatore e talvolta premiatore nei Key Awards a cui il suo contributo è stato quello di dare attenzione al mondo della pubblicità, valorizzando prodotti, produttori e creativi e le nuove forme di comunicazione dei media di cui Media Key si è fatta importante veicolo di promozione e divulgazione, collegandoli al momento della formazione dello IULM di Milano, che sottolinea uno stretto rapporto fra il manager culturale e il docente universitario, ibridando la propria formazione con linguaggi dei media e con le nuove tecnologie.
Una formazione che si fa costante, continua, che non ha interruzioni o pause ma che nel corso degli anni attraversa, come in un crossbording multidisplinare e multilinguistico, campi e discipline diverse muovendo non solo dalla propria curiosità mai domita ma trovandone sempre una ragione per alimentare il proprio lavoro e delle persone coinvolte, in una visione circolare della conoscenza e della sua pratica sociale, puntando sui prodotti, sulle realizzazioni, insomma su cose di cui oggi possiamo parlare. Fatti non Parole.
Ne viene fuori un prodotto culturale, questo vademecum visivo che ci restituisce tutto questo: trent’anni dedicati a definire un modo concreto di essere un intellettuale nella modernità, incrociando personalità e sensibilità diverse, ma con l’ambizione di essere responsabile e di poter provare a offrire un messaggio, un linguaggio e un senso verso la società. Operazione riuscita.